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Toyota nelle settimane scorse ha affermato di esser vicina a una svolta nella produzione di batterie allo stato solido; queste si differenziano da quelle al Litio, perchè l’elettrolita che collega il catodo all’anodo, invece che liquido, è appunto solido (sono in fase di test diversi polimeri, ossidi e solfuri).

Il fatto di avere un elettrolita solido invece che liquido, eliminerebbe il grosso problema dell’infiammabilità delle batterie al Litio che comporta una serie di precauzioni e l’implementazione di dispositivi di sicurezza installati nel veicolo ospitante per ridurne il rischio. Nonostante ciò, i casi di autocombustione accaduti nel mondo dell’automotive ha portato alcune compagnie di trasporto marittimo ad escludere dalle proprie navi mercantili il trasporto di veicoli ibridi/elettrici, soprattutto dopo alcuni gravi incendi accaduti a bordo delle navi.

Due casi più gravi sono stati: l’incendio della Felicity Ace nel febbraio 2021, con il conseguente affondamento a pochi giorni di distanza; la nave era una PCTC (Pure Car and Truck Carrie) di 198 metri che trasportava circa 4 mila auto nuove: secondo alcune analisi il danno relativo è stato di oltre 400 milioni di dollari. Mentre a luglio del 2023 nella nave mercantile Fremantle Highway   un incendio partito da una delle 500 auto elettriche ha provocato la morte di una persona e danni per almeno 300 milini di dollari.

I vantaggi rispetto alle batterie al Litio.

Le batterie allo stato solido presentano vantaggi chiave, tra cui sicurezza migliorata e potenziale per una maggiore efficienza energetica. Inoltre, l’assenza di anodi metallici potrebbe eliminare la necessità di materiali critici come la grafite, riducendo la dipendenza da fornitori geopoliticamente sensibili come la Cina.

Tuttavia, nonostante i progressi annunciati, le sfide rimangono considerevoli visto che si parla da molto tempo di questa tecnologia. La produzione su larga scala, i costi e la sensibilità all’umidità sono ancora ostacoli significativi che richiedono soluzioni prima che questa tecnologia possa imporsi sul mercato.

Ma quanta energia può accumulare un elemento?

L’energia accumulabile dipende da quel che si chiama potenziale elettrochimico della sostanza attiva ed è inversamente proporzionale alla massa atomica della stessa. Dalla tavola periodica degli elementi è noto che il potenziale elettrochimico è dell’ordine di grandezza di 1-10 volt. Questo valore è un limite naturale, che nessuna ricerca e nessun avanzamento tecnologico potrà mai superare. Scorrendo la tavola periodica degli elementi, i primi in ordine di massa sono idrogeno, elio e litio. L’elio è inerte. L’idrogeno ha quattro difetti cruciali: non esiste sulla Terra, è gassoso, è la molecola più piccola che esiste, è esplosivo; circostanze, tutte, che rendono molto difficile il suo utilizzo su larga scala.

Di quanti accumulatori avremmo bisogno nel nostro paese se dipendessimo solo dal fotovoltaico?

Infine, la questione dell’accumulo energetico assume particolare rilevanza in un contesto di crescente dipendenza dalle energie rinnovabili. In Italia, durante le ore diurne quando il sole non è presente, il consumo energetico ammonta a 500 GW al giorno. Tuttavia, per garantire una fornitura costante, sarebbero necessari dispositivi di accumulo con una capacità almeno 20 volte superiore. Questa precauzione è essenziale poiché non è garantito che un giorno di sole sarà seguito da un altro. Per assicurare una sicurezza di approvvigionamento adeguata, occorrerebbe avere una capacità di accumulo di almeno 10,000 GWh . Considerando che per 1 kWh di accumolo il prezzo varia intorno ai 1000 euro, significa che la spesa per avere una capacità di 10,000GWh (dove 1GWh sono 1,000,000 kWh) sarebbe pari a 10 trilioni di euro, cinque volte il nostro PIL

Concludendo.

Senza addentraci nella questione ideologica (veicoli elettrici si/no, fotovoltaico si/no), capiamo come l’accumulo di energia (derivante specialmente da fonti intermittenti come le rinnovabili) è un problema non indifferente, che deve essere valutato in tutta la sua filiera: dalla chimica dei materiali, la loro disponibilità, la fattibilità tecnologica, al costo per rendere tutto ciò un vero progresso senza l’utilizzo di sussidi pubblici a spese soprattutto del ceto più povero della popolazione.